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LORENZO NECCI E L’ALTA VELOCITA’

“Roma non sarebbe stata concepibile come impero del Mediterraneo e dell’Occidente senza le strade, i porti, la moneta, il sistema legislativo e giuridico. La costruzione di una civilizzazione si basa sulle proprie infrastrutture. Sia la creazione del “valore” che la creazione dei “valori” dipende in larga parte da infrastrutture efficienti, adeguate e adattabili”.

Nella sezione Rassegna Stampa [1] sono presenti articoli e video relativi al progetto Tav.

Così scriveva Lorenzo Necci, nel suo libro “Il Terzo Millennio”.
Nella sua concezione della storia, le infrastrutture, materiali o immateriali, costituiscono il collante di ogni civiltà. Sono le fondamenta della società, su cui poi altre strutture, economiche, sociali, commerciali, civili e culturali si innesteranno. Per loro natura sono stabili e durevoli, perché devono sopravvivere alle istituzioni e agli uomini che le hanno realizzate. Il loro fine è di servire la collettività più che l’individuo, creare legami che sono alla base dell’interazione fra gli uomini. Condizionano il futuro, mentre servono il presente. Le infrastrutture materiali, in particolare, sono la base, la condizione e spesso il limite dello sviluppo.

Con queste premesse non sorprende che sia stato lui l’ideatore del programma di ammodernamento della rete ferroviaria nazionale, oggi definito Alta Velocità.
Dal giorno in cui fu nominato “ Commissario Straordinario” delle Ferrovia dello Stato – correva il giugno 1990 – fino a quel 15 settembre 1996 in cui fu tratto in arresto nella amata casa del mare di Tarquinia, e poi costretto alle dimissioni da amministratore delle Ferrovie dello Stato, per mio padre l’Alta Velocità fu, come lui stesso dichiarò, un grande sogno e al contempo la tessera di un mosaico più ampio per liberare l’Italia da storici vincoli su ambiente, trasporto e energia.

Ma cos’era, esattamente, la TAV ( Treno Alta Velocità) di Lorenzo Necci e dei suoi collaboratori? E oggi, cosa è rimasto di quell’intuizione?

Innanzitutto, la TAV era una società privata, controllata giuridicamente da banche e istituzioni italiane ed estere che nominavano in autonomia i propri vertici.
I soci della TAV si erano impegnati a finanziare il progetto con un capitale di rischio di 2000 miliardi di lire, in parte effettivamente versati.
TAV disponeva inoltre di un capitale di debito in misura sufficiente a garantire il finanziamento del 60% dei costi di realizzazione dell’opera, rimanendo il residuo 40% a carico dello Stato italiano.
Questo schema finanziario e progettuale consentiva allo Stato italiano di non iscrivere nel proprio bilancio il debito TAV.
I contratti esecutivi, in forza di strumenti giuridici innovativi e evoluti, mai applicati prima al sistema delle opere pubbliche in Italia, garantivano tempi e costi certi di realizzazione. Poiché infatti il vero problema degli investimenti ferroviari è rappresentato dall’incertezza che grava sulle disponibilità finanziarie, TAV fu studiato come uno strumento in cui ci fosse la certezza dell’intero finanziamento per avere la sicurezza dei tempi e dei costi.
Gli obblighi assunti dai General Contractors e dagli appaltatori in base ai contratti erano garantiti da fideiussioni rilasciate a prima richiesta in favore di FS dalle più importanti banche nazionali.
La TAV prevedeva il quadruplicamento delle linee, perché nel progetto di Lorenzo Necci essa non doveva essere una sorta di gioiello per le elites, ma servire anche per i treni merci. E del resto, Necci immaginava la TAV come uno dei tasselli di un più grande disegno, nel quale grande importanza avevano anche treni pendolari e treni merci.
Inutile aggiungere che il Governo, anzi i Governi che si successero in quegli anni, l’azionista di riferimento e cioè il Ministro dei Trasporti, il Tesoro, l’Antitrust, il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti furono costantemente informati dell’evoluzione del progetto, dando il loro benestare approvazione. Così come lo erano le Istituzioni della Comunità Europea. Banca di riferimento era Mediobanca di Enrico Cuccia.

In una cena a casa di Lorenzo Necci negli anni 90, l’allora primo Ministro francese Edouard Balladur, e molti personaggi politici e istituzionali dell’epoca brindavano al lancio dell’Alta Velocità.La sensazione era quella di un progetto che avrebbe cambiato il volto del Paese. E forse doveva essere l’impressione che anche altri ne trassero, sebbene non nel senso che intendeva Necci.
La vicenda di La Spezia, il massacro mediatico, la successiva pronuncia della Cassazione nel marzo 1997 che stabiliva l’inesistenza di elementi per procedere all’arresto, le ulteriori 42 archiviazioni su altrettanti procedimenti sono storia nota.
C’è però una circostanza inedita: già all’indomani della sua uscita dal carcere, nel dicembre 96, Necci mandò una lettera all’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, e con lui all’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, all’allora Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e all’allora Ministro dei Trasporti.

In essa scrisse “ Signor Presidente…il Governo mi affidò alla fine del giugno 1990 un compito molto impegnativo. Da un lato il risanamento di FS,e, dall’altro la realizzazione di un programma di rilancio del trasporto collettivo in Italia, deciso dal Parlamento e dal Governo medesimo, incentrato sull’Alta Velocità.. ma di questo programma mancavano sia le minime basi progettuali e autorizzatorie.. sia le disponibilità finanziarie.
..Per la realizzazione del progetto TAV sono stati ottenuti i finanziamenti privati necessari.. un finanziamento di diecimila miliardi di lire con possibilità di aumento a quindicimila era stato concesso da mesi, da parte di un consorzio di 40 banche, il contatto era già siglato al momento dell’episodio del 15 settembre. Questo finanziamento si sommava ad altri mille settecento miliardi concessi dalla BEI per la sola Roma Napoli. Unitamente al capitale di rischio della TAV avevamo quindi ottenuto la copertura delle necessità finanziarie per portare a compimento l’intero progetto… Il progetto TAV ha avuto un continuo monitoraggio governativo e parlamentare, cui si è sommato quello del mercato finanziario e delle società private che hanno la maggioranza nella società… Il rischio che tutto questo venga vanificato e che il mercato finanziario revochi la sua fiducia nel progetto è alto.. debbo esprimere la più profonda preoccupazione per le ricadute che si avrebbero ove si intaccasse lo straordinario lavoro che sul progetto il Parlamento, il Governo, l’Azienda, l’imprenditoria e la finanza hanno compiuto Se cioè si rimettesse in discussione il progetto o se ne ritardassero i tempi di attuazione.. Un anno di ritardo produce aggravi di costi di circa 3000 miliardi…. Le ferrovie non sono in grado di sopravvivere se non si ammodernano e non si sviluppano coerentemente con il resto dell’Europa.. Sono grato dell’attenzione che Ella, signor Presidente, vorrà dedicare a un argomento di vitale importanza per la nostra Italia cui mi lega un impegno vissuto per sei anni e la certezza di non avere mai tradito la fiducia dei miei azionisti, le attese dei cittadini e l’onore del mio Paese”.

Ma la missiva non ebbe risposta da nessuno degli illustri destinatari.
Quello che invece successe fu un totale capovolgimento del progetto. FS acquistò dalla banche il capitale TAV da esse detenuto, restituendo loro i soldi già versati e liberandole da ogni impegno – già sottoscritto – per i futuri versamenti. Per effetto di ciò, si dissolse il finanziamento di quindicimila miliardi già concesso alla TAV dalle quaranta banche. TAV divenne società a capitale totalmente pubblico, e lo Stato italiano dovette consolidare interamente il relativo debito. I criteri di realizzazione dell’opera furono “normalizzati”, rientrando così nello schema consueto delle opere pubbliche, con incertezza di finanziamenti e quindi di costi e tempi.
Scriveva ancora Necci, dopo questi fatti “ Il costo dell’opera, stimato in circa 30.000 miliardi di lire nel 1989, è rimasto all’interno di questa cifra fino al 1996. Con diverse modalità di esecuzione, quelle tradizionali delle FS, si giungerà ad una cifra 3 volte superiore, e a un tempo non stimabile. Non prima comunque di 15/20 anni.”
Facile profeta, verrebbe da aggiungere. Del resto proprio lui, in una intervista a Gianluigi Darold, si paragonò al “Mago della pioggia” di Hermann Hesse, che prevedeva prima degli altri quello sarebbe accaduto, e pagava per tutti.

E’ passato molto tempo. Lorenzo Necci è morto, e spetta a noi che restiamo ricordarlo e rendergli onore nella sua geniale intuizione. Ma non si può davvero mescolare quell’intuizione alla TAV di oggi, perché il progetto di Necci è stato snaturato e si è arrivati proprio a quello che lui voleva evitare.

Clicca su Rassegna Stampa [1] per materiale giornalistico e televisivo relativo all’argomento Tav.